L’8 novembre il Parlamento italiano ha approvato un regolamento sulla conservazione dei dati che consente agli operatori delle telecomunicazioni di conservare dati su telefonate e siti web fino a 6 anni.
Una grave minaccia alla privacy
Questa misura costituisce una minaccia per la vita privata di tutti i cittadini e, nonostante le sue conseguenze siano estremamente pesanti per tutti noi, è stata oggetto di scarsissimo controllo e dibattito. Il regolamento è stato denunciato dalla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili, membro di Liberties e dall’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights.
Le due organizzazioni hanno espresso preoccupazioni fin da luglio, quando la disposizione è stata inserita in una legge di recepimento della Direttiva Europea sulla “sicurezza degli ascensori”.
In particolare, il regolamento contraddice completamente le indicazioni recentemente date dalla Corte di Giustizia dell'UE ed è in evidente conflitto con le normative esistenti in materia di privacy in Italia, come sottolineato lo scorso mese da Antonello Soro, presidente dell'Autorità Italiana per la Protezione dei Dati. Molti esperti dicono che potrebbe essere presto contestata in tribunale.
I precedenti limiti alla conservazione dei dati
La conservazione dei dati in Italia era regolamentata da norme sulla privacy in vigore fino al 2015: fino a due anni di conservazione per i dati relativi al traffico telefonico, un anno per i dati telematici e 30 giorni per le chiamate senza risposta.
Questi limiti sono stati successivamente estesi dal Decreto anti-terrorismo del 2015 che, fino al 30 giugno 2017, ha richiesto la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico o telematico, escludendo però i contenuti delle comunicazioni conservati dai fornitori di servizi di telecomunicazione e i metadati sulle comunicazioni, gestiti temporaneamente da fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche aperte al pubblico o da una rete di comunicazione pubblica, telefonica o telematica.
Il 30 giugno, tuttavia, la proroga che ha permesso la conservazione di tali dati è scaduta, senza alcun intervento del governo per rinnovarla.