Il dibattito radicalizzato sull'industria sessuale divide l'Europa. Una parte delle femministe radicali e i loro alleati sostengono che la prostituzione sia di per sé una forma di sfruttamento, che le prostitute siano vittime di violenza e che i loro clienti siano sfruttatori che vanno puniti dalla legge. Essi spesso fanno riferimento al modello svedese – che criminalizza i clienti delle professioniste del sesso – come best practice che gli altri paesi dovrebbero imitare; in effetti, il modello svedese sta acquistando popolarità sia tra i politici conservatori che liberali.
Un secondo gruppo di femministe e i loro alleati, la maggior parte delle quali esse stesse professioniste del sesso, considera il lavoro sessuale come uno scambio consensuale di servizi sessuali tra due adulti dietro compenso materiale, una questione molto differente dal traffico di esseri umani (crimine che è già punito dalle convenzioni internazionali). Questo secondo gruppo sostiene che le lavoratrici sessuali non siano vittime che hanno bisogno di essere salvate e che le leggi che criminalizzano la domanda o l'offerta di lavoro sessuale in concreto hanno l'effetto di nuocere proprio alle persone che vorrebbero proteggere. Essi quindi rifiutano il modello svedese e approvano la legislazione adottata dalla Nuova Zelanda nel 2003, che ha depenalizzato sia la domanda che l'offerta di prestazioni sessuali.
A marzo la troupe di Drugreporter ha viaggiato fino ad Auckland, Nuova Zelanda, per partecipare alla conferenza. Mentre eravamo là, abbiamo visitato la sede del Collettivo delle Prostitute della Nuova Zelanda, un'organizzazione che promuove i diritti delle professioniste del sesso e le forma sulla minimizzazione dei rischi insiti nel loro lavoro. Guarda il nostro video per scoprire come le persone più coinvolte – le professioniste del sesso – percepiscono l'impatto della legge del 2003 sull'industria sessuale! Crediamo che altri paesi potrebbero imparare dalle loro esperienze.
Testo: Péter Sárosi
Video: István Gábor Takács e Péter Sárosi