Secondo
la legge italiana, le madri detenute possono tenere con sé i propri
figli fino a quando non raggiungono i 3 anni di età. Dopo di che, i
bambini devono lasciare il carcere e sono affidati alla cura
dell'altro genitore, di un parente o, come ultima risorsa, ai servizi
sociali. Questa disposizione garantisce, da un lato, il diritto delle
detenute con figli ad essere madri e il diritto dei figli di
crescere, almeno per i primi anni di vita, con le loro madri, ma,
dall'altro, comporta che questi bambini debbano trascorrere la
delicata età della formazione nell'ambiente malsano del carcere.
Come stanno le cose in pratica
Ad
oggi sono 60 i bambini di età compresa tra 0 e 3 anni che vivono
nelle carceri italiane. Tuttavia, raramente si sente parlare di loro.
Di recente è emersa la notizia di un bambino di un anno, che vive
nel carcere di Messina con la madre, che ha accidentalmente ingerito
veleno per topi ed è quasi morto. Il carcere era infestato dai topi
e un agente di polizia ha messo, di sua iniziativa, il veleno per
topi nella sezione in cui vivono le madri con i loro bambini. Si
tratta di un esempio estremo, ma evidenzia le condizioni pericolose
e, in generale, inopportune in cui ad alcuni bambini sfortunati tocca
trascorrere i primi anni di vita.
Per evitare queste situazioni, negli ultimi anni diverse associazioni di volontari, insieme alle istituzioni politiche e giudiziarie, hanno lavorato duramente per trovare alternative valide all'incarcerazione dei bambini che permettano di non interrompere la relazione con i loro genitori. Grazie a questi sforzi, nel 2001 è stata approvata la cosiddetta legge 8 marzo, che ha modificato alcune parti del regolamento precedente e ha favorito l'introduzione di nuovi meccanismi per facilitare l'accesso a misure alternative delle donne detenute con bambini piccoli.
Tuttavia,
le misure alternative previste dalla legge sono accessibili solo ad
alcune categorie di madri in detenzione, in particolare alle donne
che non presentano alcun rischio di recidiva e in grado di dimostrare
di avere una reale possibilità di tornare a vivere con i propri
figli. Di fatto in questo modo venivano escluse tutte le donne ai
margini della società, come le donne incarcerate per reati legati
alla droga. E la detenzione domiciliare è un'alternativa al carcere
che non è disponibile per le donne straniere che spesso non hanno
una residenza fissa e il cui destino, insieme al destino dei loro
figli, è perciò inevitabilmente limitato alla cella di una
prigione.
I passi da compiere
Nel 2011 è stata introdotta una nuova riforma. Questa nuova legge ha previsto la possibilità, fatta eccezione per quei casi in cui la custodia sia ritenuta assolutamente necessaria, che le donne con figli scontino la loro condanna in un Istituto di custodia attenuata per madri detenute (ICAM). Questo dovrebbe permettere alle madri di vivere con i propri figli fino all'età di sei anni. Esistono inoltre le cosiddette Case famiglia protette, in cui le donne che non hanno un domicilio stabile possono scontare gli arresti domiciliari.
Per
quanto riguarda l'ICAM, si tratta di strutture dell'amministrazione
penitenziaria istituite in via sperimentale nel 2007. Sono strutture
progettate per non assomigliare alle carceri tradizionali: gli agenti
non indossano la divisa, i sistemi di sicurezza non sono
riconoscibili dai bambini e le strutture stesse cercano di riprodurre
ambienti familiari. Tuttavia, al di là del loro aspetto, gli ICAM
sono strutture di contenimento, non alternative alla detenzione. Sono
spesso situate vicino al vero carcere e lontane dal tessuto
cittadino. Anche se non hanno l'aspetto di un carcere tradizionale,
sono ugualmente luoghi destinati a recludere.
Case famiglia protette
Una
valida alternativa alla detenzione dei bambini sono le Case Famiglia
Protette. Si tratta di veri e propri appartamenti senza sbarre né
cancelli, integrati nel tessuto urbano, con campi da gioco, luoghi
per le attività educative, per trattamenti medici e per ricevere
visite da altri parenti. In una casa famiglia protetta, le detenute
hanno maggiori opportunità di comportarsi come madri reali. Ad
esempio, sono in grado di portare i propri figli a scuola e di
giocare con loro nel giardino all'aperto.
Tuttavia, la legge del 2011 non prevede alcun finanziamento per le case famiglia protette che, a differenza dell'ICAM, non sono sotto la direzione dell'amministrazione penitenziaria e devono essere gestite dalle autorità locali.
Fino ad oggi esiste una sola Casa Famiglia Protetta, aperta a Roma nel luglio 2017. Con l'istituzione di altre cinque o sei case, tutti i bambini che vivono attualmente nelle carceri italiane potrebbero essere ospitati con le loro madri in strutture più adeguate alle loro esigenze. Al momento, tuttavia, si è ben lontani dal raggiungere questo obiettivo.