Democrazia e Giustizia

Ungheria e Slovacchia perdono causa contro UE sulle quote migranti

La sentenza della Corte Europea dichiara legali le quote di ricollocamento dei migranti e respinge le contestazioni avanzate da Slovacchia e Ungheria.

by György Folk

I governi di Slovacchia e Ungheria hanno contestato in tribunale la decisione dell’Unione Europea di distribuire in altri paesi europei 120.000 richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia, paesi in prima linea nell’accoglienza. Fino ad ora solo 28,000 sono stati ricollocati. Nella riunione del Consiglio dei Ministri dell’UE del settembre 2015, la Slovacchia e l’Ungheria (con la Repubblica Ceca e la Romania) avevano votato contro il piano di ricollocamento, in un contesto di timore contro i migranti musulmani. In base a calcoli che tengono conto delle dimensioni e della ricchezza degli stati, l’Ungheria è tenuta ad accogliere 1.294 persone mentre le Slovacchia 902. L’Ungheria e la Polonia hanno rifiutato di ospitare anche una singola persona attraverso lo schema di ricollocamento, mentre la Slovacchia e la Repubblica Ceca ne hanno prese una dozzina ciascuno.

“La Corte respinge le azioni proposte dalla Slovacchia e dall'Ungheria contro il meccanismo provvisorio per il ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo ", si legge in un comunicato stampa del Tribunale di Lussemburgo, aggiungendo che la Corte ha respinto le richieste "nella loro interezza".

I politici di molti stati membri hanno cercato di usare il tema dei richiedenti asilo per fini politici giocando sulle paure dell’opinione pubblica. Ciò è stato particolarmente evidente in alcuni paesi dell'Europa centrale e orientale dove l’immigrazione è regolarmente presentata in relazione al terrorismo e come una minaccia per la cultura nazionale.

Prevedibilmente, la reazione del Ministro degli Esteri ungherese Péter Szíjjártó alla decisione è stata di etichettarla come "scandalosa" e "irresponsabile, che mette in pericolo la sicurezza e il futuro dell'Europa nel suo complesso e… contraria agli interessi delle nazioni europee". Ha aggiunto che "la politica ha violato la legge e l'interesse degli europei" e che la sentenza "legittima apertamente il potere e la giurisdizione della Commissione Europea nei confronti degli Stati membri, cosa inaccettabile poiché questa non può avere alcun potere sui singoli stati".

Il Ministro degli Esteri non ha tuttavia menzionato il fatto che i trattati dell'UE, creati dagli Stati membri, rendono la Commissione responsabile di far rispettare il diritto comunitario.

Il Ministro slovacco dell'Economia, Peter Ziga, nella sua reazione ha minimizzato l'importanza della sentenza, affermando che il "sistema delle quote non funziona, quindi la decisione del tribunale per ora potrebbe essere irrilevante". Ha aggiunto "che serviva un nuovo meccanismo anche se il problema non è così grave considerata la diminuzione degli arrivi”.

Il Commissario Europeo per la migrazioni, Dimitris Avramopoulos ha postato il tweet:

"Tempo di lavorare insieme e dare piena attuazione alla solidarietà".

I politici dell'UE hanno definito lo schema di ricollocamento una questione di solidarietà con gli Stati membri alle frontiere dell'UE. Alcuni governi nazionali, come la Germania e l'Italia, hanno chiarito che gli Stati membri dell'Europa centrale e orientale, rifiutando di agire in base a decisioni congiunte, stanno mettendo a rischio l’ampliamento dei loro sussidi comunitari finanziati dagli Stati occidentali.

Andrea Menapace, direttore esecutivo di CILD, organizzazione partner di Liberties in Italia ha aggiunto che “La sentenza è accolta con favore, in quanto ricorda, non solo alla Slovacchia e all'Ungheria, ma a tutti i paesi dell'UE, che devono rispettare i loro obblighi nei confronti dei rifugiati e contribuire facendo la propria parte per affrontare l'attuale crisi. Dovrebbero tutti ricordare che ogni volta che rifiutano gli obblighi che derivano dal principio fondamentale della solidarietà – valore alla base dell'UE - minano lo stesso principio che ha portato loro vantaggi e prosperità negli ultimi decenni.

Troppo spesso si dimenticano che questo principio richiede la condivisione non solo delle opportunità ma anche delle responsabilità in modo equo e giusto tra tutti i membri. La sentenza della Corte Europea, dovrebbe essere pertanto letta come un monito necessario.
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