Il ricorrente, M., è un ex dipendente dei Servizi generali di informazione e sicurezza olandesi (AIVD). Ad M. era stato assegnato dall’ AIVD il ruolo di tecnico dell'audio e traduttore. In tale veste, M. aveva accesso a informazioni riservte che, secondo le rigorose regole dell'AIVD, gli era proibito condividere. Questa riservatezza avrebbe dovuto essere applicata anche dopo aver lasciato l'AIVD.
Segreti di stato
Nel 2004, M. è stato accusato di aver trasmesso segreti di stato a persone non autorizzate, compresi individui sospettati di terrorismo. Prima del procedimento penale, l'AIVD ha informato M. che se avesse discusso di questioni coperte dall'obbligo di riservatezza con chiunque, compreso il suo avvocato, questo avrebbe costituito un nuovo reato. Erano state poste restrizioni all'accesso ad alcuni documenti anche al suo avvocato, mentre altri documenti messi a disposizione sono stati prima pesantemente modificati.
Durante il processo, gli avvocati di M. hanno protestato per l'impatto delle limitazioni poste alla difesa, prime tra tutte quelle poste sulle comunicazioni con il loro cliente. L'AIVD ha pertanto concesso a M. un'esenzione temporanea del suo obbligo di riservatezza, che ha così consentito a M. di fornire ai suoi avvocati esclusivamente i materiali strettamente essenziali per la sua difesa.
Durante la procedura di appello, M. si è lamentato di non poter fornire i nomi dei dipendenti AIVD che avrebbe voluto chiamare come testimoni dinanzi al tribunale. Il personale AIVD apparso come testimone non ha dovuto rispondere alle domande della difesa che avrebbero potuto danneggiare la riservatezza del lavoro di intelligence dell'AIVD. Le loro voci e il loro aspetto sono stati celati per proteggere la loro identità.
Il 14 dicembre 2005, il Tribunale di Rotterdam ha condannato M. a quattro anni e sei mesi di reclusione. Il primo marzo 2007 la Corte d'appello dell'Aia ha ridotto la pena a quattro anni. In Cassazione, la Corte Suprema il 7 luglio 2009 ha infine condannato M. a tre anni e dieci mesi di reclusione.
Il 7 gennaio 2010 M. ha presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU).
La sentenza della Corte EDU
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che la disponibilità di documenti prodotti da ll'AIVD fosse accettabile. I documenti in questione contengono dettagli di segreti di stato. M. è stato accusato di aver venduto questi documenti, e la natura sensibile dei materiali avrebbe potuto essere dimostrata anche da delle copie. La Corte ha tenuto conto del fatto che il Coordinatore nazionale antiterrorismo aveva confermato che i documenti del fascicolo erano copie dei documenti classificati, cosa che M. non aveva contestato. Le restanti informazioni a disposizione erano sufficienti affinché la difesa preparasse il caso in maniera adeguata. Per quanto riguarda il fascicolo interno dell’indagine dell'AIVD, che M. ha dichicarato essere stato trattenuto dalla difesa, la Corte era dell’idea che questo non fosse nelle mani dell'ufficio del Procuratore e che la Corte d'appello non avrebbe potuto accertare se fosse mai esistito. Qualsiasi vantaggio che M. avrebbe potuto ricavare da questo documento era dunque meramente ipotetico.
Per questi motivi, il 25 luglio 2017 la Corte ha dichiarato all'unanimità che l’aver modificato taluni documenti e l’averne, presumibilmente, trattenuto degli altri, non costituiva violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, e 3 (b) della Convenzione sui Diritti dell'Uomo (CEDU),.
La Corte ha ritenuto accettabile in principio il fatto che non vi fosse alcuna ragione per non applicare le norme di riservatezza nel caso di un ex dipendente del servizio di sicurezza perseguito per la divulgazione di segreti di stato. Tuttavia, la Corte si è posta il quesito di quale fosse l'effetto del divieto di divulgazione di informazioni segrete sul diritto di M. di difendersi. La Corte ha ritenuto che, senza un parere professionale, non si può pretendere che una persona accusata di gravi reati sia in grado di soppesare i benefici del rivelare completamente i documenti in suo possesso al suo avvocato contro il possibile conseguente rischio di ulteriori procedimenti penali.
La Corte ha stabilito che c'è stata violazione dell'articolo 6 § § 1 e 3 (c) CEDU, in quanto l'equità del procedimento penale è stata irrimediabilmente influenzata dall'ingerenza nella comunicazione tra M. e il suo avvocato.
La Corte ha considerato che, in materia penale, esiste una legittima strategia di difesa che prevede di mettere in dubbio la perpetrazione di un reato, dimostrando che il reato potrebbe essere stato commesso da qualcun altro. La Corte ha aggiunto che ciò non autorizza un sospettato a presentare richieste infondate di informazioni nella speranza che possa venir fuori una dichiarazione alternativa.
La prova - consistente di 53 articoli - su cui la Corte d'appello ha basato la sua condanna conteneva parecchi fatti che collegavano direttamente M. ai documenti trapelati e alle persone non autorizzate trovate in possesso di questi documenti. In tali circostanze, la Corte EDU non ha potuto ritenere che relativamente al diritto di M. di chiamare e interrogare i suoi testimoni, la Corte d’Appello abbia agito in maniera irragionevole o arbitraria.
La Corte ha concluso dunque che non vi era stata alcuna violazione dell'articolo 6 § § 1 e 3 (d) della CEDU.
Leggi il giudizio della Corte CEDU qui, e il comunicato stampa sul caso qui.