I difensori dei diritti umani sono sotto attacco in tutto il mondo. Secondo Front Line Defenders, un'organizzazione impegnata nella protezione e nel sostegno di attivisti le cui vite sono a rischio per via delle loro attività, nel 2017 ci sono stati 312 difensori dei diritti umani uccisi in 27 paesi.
La polizia non fa abbastanza per proteggerli
Il "Rapporto annuale sui difensori dei diritti umani a rischio nel 2017" rileva che il 67% dei difensori dei diritti umani uccisi l'anno scorso erano impegnati nella difesa dei diritti della terra, dell'ambiente e delle popolazioni indigene, quasi sempre nel contesto di mega progetti, industria estrattiva e grandi affari.
Nell'84% delle uccisioni per le quali Front Line Defenders è in possesso di informazioni accurate, il difensore aveva precedentemente ricevuto una minaccia, evidenziando l'inefficienza del lavoro di prevenzione della polizia, che, se eseguito correttamente, potrebbe ridurre drasticamente gli attacchi contro gli attivisti dei diritti umani.
L'impunità per gli atti di violenza contro i difensori dei diritti umani continua a consentire un ambiente di frequenti uccisioni: solo il 12% dei casi di omicidio ha portato all'arresto di sospetti.
Un totale dell'80% delle uccisioni è avvenuto in soli quattro paesi: Brasile, Colombia, Messico e Filippine.
La situazione in Europa
I difensori dei diritti dei migranti e dei rifugiati sono stati presi di mira in molti paesi europei, in particolare in quelli con le rotte migratorie più utilizzate. E’ stato dato spazio e diffusa una narrazione che collega il traffico di esseri umani alle organizzazioni non governative (ONG) con l’obiettivo di colpire i difensori dei diritti umani che assistono i rifugiati. In Italia, questo ha fatto sì che alcune ONG siano state attaccate da alcuni politici e organi di stampa per i loro interventi di salvataggio nel Mediterraneo. Ad agosto in Francia, Cedric Herrou, un agricoltore e attivista dell'immigrazione, è stato condannato per aver favorito l'immigrazione clandestina e condannato a quattro mesi con la sospensione condizionale.
Leggi che limitano l'accesso ai finanziamenti stranieri per le ONG o che penalizzano i beneficiari di tale assistenza hanno continuato a diffondersi in tutta l'Europa orientale.
Il governo ungherese ha approvato una legge che colpisce le ONG che ricevono più di $ 24.000 all'anno in donazioni straniere e che non riescono a registrarsi presso le autorità entro 15 giorni come "organizzazioni finanziate all'estero", che non pubblicizzano questo fatto sui loro siti Web e su tutte le loro forme di diffusione. In Ucraina è ancora in sospeso un disegno di legge analogo che impone obblighi di segnalazione alle organizzazioni che ricevono aiuti esteri, servizi e assistenza tecnica internazionale.
In Russia, il primo caso di persecuzione criminale nei confronti del vertice di una ONG in relazione alla Legge sugli agenti stranieri si è chiuso a luglio con l'assoluzione di Valentina Cherevatenko, presidente del Consiglio di coordinamento delle donne del Don. Ciononostante, ad oggi, 88 organizzazioni della società civile, tra cui tutte le principali organizzazioni russe per i diritti umani, sono indicate come "agenti stranieri".
Probabilmente la situazione più drammatica nell'area europea è rappresentata dalla Turchia, dove continua la repressione contro la società civile, intensificata dopo il fallito colpo di stato del 2016.
Attraverso l'ampia applicazione delle leggi sullo stato di emergenza, le autorità hanno limitato in modo significativo i diritti alla libertà di espressione, ai media, all'assemblea e all'associazione e hanno preso di mira coloro che sono impegnati nel lavoro sui diritti umani. Più di 300 ONG sono state chiuse e molti difensori sono stati incarcerati, hanno perso il posto di lavoro o hanno subito indagini.
Un caso significativo
Un caso particolarmente significativo è quello del vincitore del Premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, che è morto di cancro al fegato nell'ottavo anno di una condanna a 11 anni di carcere in Cina. E’ il primo premio Nobel a morire in custodia dal 1935, quando un pacifista e dissidente tedesco, Carl von Ossietzky, morì in ospedale sotto il regime nazista.
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