Nel 2010 un uomo che chiameremo M. fornì a un giornalista la documentazione su presunti reati che avrebbero avuto luogo nel posto in cui lavorava. Oltre al suo numero telefonico, l'informatore non fornì al reporter alcun altro dato personale.
Il giornalista decise di contattare il responsabile dell'azienda in cui M. lavorava, per verificare le informazioni ricevute. Non appena saputo di questo, M. smise di trasmettere informazioni al reporter e si rifiutò di dare il consenso alla pubblicazione dei documenti precedentemente trasmessi.
Poco dopo, il giornalista scoprì che era stata inviata una lettera contenente le informazioni sui presunti reati al consiglio di amministrazione dell'azienda. Non era stato lui a scrivere la lettera, ma questa risultava firmata a suo nome.
Il giornalista si sentì ingannato e decise di trasmettere al datore di lavoro il numero di telefono usato dall'informatore per contattarlo. Inoltrò anche un'e-mail ricevuta da M. In base a questo indizio evidente, venne palesata l'identità di M., che di lì a breve fu licenziato.
Nessuna esplicita richiesta di anonimato
Il privilegio del giornalista garantisce protezione legale dall'essere obbligati a testimoniare su informazioni o fonti riservate. E' stato ideato come misura per proteggere la relazione tra un giornalista e le sue fonti informative affinché tale relazione si fondi sulla fiducia.
In questo caso, il tribunale di primo grado ha respinto le richieste dell'informatore, sulla base del fatto che questi non aveva chiesto esplicitamente al giornalista di mantenere l'anonimato delle fonti.
Per il tribunale, inoltre, M. avrebbe agito in malafede nel far credere che il giornalista fosse l'autore della lettera.
Questo, secondo il tribunale, avrebbe autorizzato il giornalista a "rivelare qualsiasi informazione relativa al caso per spiegare la situazione".
Evidente abuso del privilegio del giornalista
Il tribunale di appello ha respinto le argomentazioni fornite in primo grado e ha stabilito che l'aver trasmesso il numero di telefono e l'email di M. al datore di lavoro costituisce un evidente abuso del privilegio del giornalista.
Considerato che l'informatore aveva scelto di non rivelare il proprio nome, ha argomentato il tribunale di secondo grado, è difficile sostenere che non abbia richiesto di restare anonimo e la volontà di restare anonimi può essere espressa in maniera implicita.
Il tribunale di appello ha concluso inoltre che il fatto che qualcuno abbia inviato a nome del giornalista una lettera al datore di lavoro non giustifica la violazione del privilegio del giornalista.
Il tribunale ha sottolineato che i giornalisti hanno il dovere di proteggere l'identità delle fonti.