Lo schema di ricorso istituito dal governo irlandese per compensare le sopravvissute alla procedura chirurgica della sinfisiotomia è stato criticato dagli attivisti e dalle organizzazioni per i diritti umani, tra cui l'Irish Council for Civil Liberties (ICCL), in quanto inadeguato e perché richiede alle donne di rinunciare ai loro diritti umani.
Lo schema è stato istituito a seguito delle critiche espresse nel 2014 dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sul trattamento da parte dell'Irlanda delle centinaia di sopravvissute a questa pratica antiquata e obsoleta.
La sinfisiotomia è una procedura chirurgica che veniva applicata alle donne in gravidanza, in molti casi come alternativa al taglio cesareo, e si presume che sia stato effettuato su circa 1.500 donne e ragazze in Irlanda tra il 1920 e il 1980, spesso senza ottenere il consenso della donna. La procedura prevede la recisione di una delle principali articolazioni pelviche e lo scardinamento del bacino per favorire il parto naturale.
Secondo gli attivisti, questa procedura, insieme a quella analoga nota come pubiotomia (tranciamento dell'osso pubico) sarebbero state regolarmente preferite dai professionisti medici e dagli ospedali governati da un ethos cattolico rispetto ai tagli cesarei ripetuti, poiché si temeva che questi ultimi indebolissero la capacità di una donna di avere figli.
Gli attivisti hanno espresso particolare preoccupazione rispetto al fatto che per accettare il pagamento una tantum previsto dallo schema di risarcimento, una donna è tenuta a firmare una rinuncia a future ulteriori richieste di risarcimento da parte di medici, personale sanitario, servizi sanitari e ordini religiosi che gestiscono gli ospedali in questione.