L'attività giudiziaria è stata sospesa ma la polizia continua con gli arresti
L'attuale emergenza sanitaria e la conseguente dichiarazione dello stato di allarme hanno comportato la sospensione di gran parte dell'attività giudiziaria. Tuttavia, per quanto riguarda la giurisdizione penale, il Regio Decreto 463/2020, del 14 marzo, prevede che "la sospensione e l'interruzione non si applicano ai procedimenti di habeas corpus, alle azioni affidate ai servizi di vigilanza, alle azioni con i detenuti" (seconda sezione del 2° Disposizione Aggiuntiva.).
Infatti, gli arresti continuano ad essere effettuati: la sola Polizia nazionale ha arrestato 1.540 persone dal 14 marzo all'8 aprile per atti connessi a presunte violazioni delle misure di confinamento.
Non dimentichiamoci che i diritti delle persone detenute, riconosciuti dall'articolo 520 del Codice di Procedura Penale (di seguito “LECrim”), rimangono pienamente in vigore e non possono essere in alcun modo limitati per lo stato di allarme. Anche se le circostanze attuali portano a delle difficoltà pratiche, per tutti i professionisti che devono continuare a svolgere i loro compiti nelle sedi di polizia e giudiziarie, tuttavia l'eccezionalità che stiamo vivendo non può tradursi in un allentamento dei requisiti procedurali. Nonostante si possano effettuare alcuni adattamenti, in ogni caso va garantito l'effettivo esercizio dei diritti delle persone detenute, nonché la tutela della loro salute.
A condizione che gli agenti prendano le opportune precauzioni e mantengano la necessaria distanza di sicurezza, nelle attuali circostanze nulla gli impedisce di informare le persone debitamente arrestate dei loro diritti e dei motivi dell'arresto, in modo sufficientemente dettagliato e con un linguaggio chiaro e accessibile. Analogamente, se il detenuto lo richiede, la detenzione deve essere comunicata a un terzo e il detenuto deve poterlo fare direttamente, non essendovi motivo di ostacolare l'esercizio di tale diritto. Se richiesto, deve essere garantita anche l'assistenza di un interprete, anche se in questo caso può essere opportuno che l'assistenza sia fornita per telefono o in videoconferenza, a condizione che l'utilizzo di tecnologie alternative alla presenza fisica non pregiudichi l'efficacia dell'interpretazione. Lo stesso vale per l'assistenza consolare, qualora il detenuto ne faccia richiesta.
Check-up medico deve continuare
Per quanto riguarda il diritto di tutti i detenuti ad essere visitati da un medico, il 20 marzo il Medical Forensic Council ha emanato delle raccomandazioni che includono l’aiuto ai detenuti tra i servizi forensi essenziali che devono continuare ad essere forniti durante lo stato di emergenza. È chiaro che il diritto a non subire torture, trattamenti inumani o degradanti - che non ammette limitazioni in nessun caso, per quanto eccezionali - rimane pienamente in vigore, ed include il diritto ad essere visitato da un medico.
Da quando sono state decretate le misure di confinamento, sui social network e sui media sono circolati diversi video in cui agenti di diverse forze di sicurezza vengono visti eseguire arresti con un uso sproporzionato della forza. Non va dimenticato che un semplice schiaffo a un detenuto è già un trattamento degradante e quindi punibile, come ricordato dalla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella sentenza Bouyid c. Belgio del 2015. In tali circostanze, gli avvocati devono essere particolarmente attenti all'effettivo esercizio del diritto ad essere visitati da un medico legale.
Aiuto legale deve essere garantito
Infine, il diritto all'assistenza legale non può essere limitato o ostacolato in alcun modo. L'assistenza legale nei commissariati di polizia è una garanzia del diritto alla libertà e ha lo scopo di "assicurare, con la sua presenza personale, che i diritti costituzionali del detenuto siano rispettati, che non sia sottoposto a coercizione o a trattamenti incompatibili con la sua dignità e libertà di dichiarazione e che disponga di un'adeguata consulenza tecnica" (STC 21/1997). Questa duplice funzione - garantire il rispetto di tutti i diritti del detenuto e fornire consulenza tecnica - deve essere assolta in modo efficace e reale, anche in circostanze eccezionali come quelle che stiamo vivendo durante questa pandemia.
Al fine di limitare il contatto personale e ridurre la possibilità di contagio di detenuti e professionisti, diversi ordini forensi hanno raccomandato che, per quanto possibile, l'assistenza legale sia fornita per telefono o in videoconferenza, un'opzione che è stata approvata da alcune delle Alte Corti di giustizia regionali (Nota del Comitato esecutivo di monitoraggio Covid-19 della Corte di giustizia di Madrid). Ogni professionista, in particolare chi è in servizio durante il turno, deve valutare attentamente il contenuto dei propri obblighi e la tutela della propria salute, quella del detenuto e degli agenti, prima di optare per la possibilità di assistenza a distanza.
In primo luogo, ciò implica garantire l'accesso ai documenti e alle informazioni essenziali per determinare la legalità della detenzione. Questi devono essere inviati all'avvocato di turno via e-mail o in qualsiasi altro modo che ne consenta la corretta e completa ricezione. Nelle attuali circostanze ciò è particolarmente importante, dato che nelle detenzioni per atti connessi a misure di confinamento sono oggetto di indagine quelle attestate per presunti reati di resistenza e disobbedienza (art. 556.1 c.p.). È essenziale che gli avvocati possano prendere conoscenza il più dettagliatamente possibile delle circostanze in cui è avvenuto l'arresto e dei fatti specifici per poter stabilire se l'arresto è legittimo. Altrimenti, i fatti potrebbero costituire un reato minore (art. 556 cpv. 2 CP) o un comportamento che non costituisce un reato ma un illecito amministrativo.
In secondo luogo, anche il colloquio riservato non deve essere compromesso. I professionisti devono valutare in ogni caso se, con le modalità telematiche offerte dagli organi di sicurezza, la riservatezza della conversazione sia effettivamente garantita, se tali mezzi consentano loro di verificare adeguatamente l'identità della persona con cui stanno parlando e se, in conferenza telefonica o in videoconferenza, riusciranno a stabilire il necessario rapporto di fiducia con l'imputato.
L'eccezionalità della situazione che stiamo vivendo non deve portare ad un abbassamento degli standard in materia di rispetto e protezione dei diritti delle persone in detenzione, sia nelle stazioni di polizia che nei tribunali. Ricordiamoci anche che presumibilmente ci sarà ancora una certa eccezionalità quando inizierà il rilascio scaglionato dalla detenzione. Il virus non scomparirà perché è stato emanato un Regio Decreto. Né il rischio di contagio. Dovremo quindi convivere ancora per un certo tempo con le misure di protezione individuale e con la necessità di trovare sempre un attento equilibrio tra il corretto svolgimento delle nostre funzioni, la tutela della nostra salute e quella dei nostri imputati.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Abogacía Española